Fenomenologia della crisi

Nei primi decenni dell’Ottocento un tale Hegel scrisse (purtroppo!) una sua Fenomenologia dello Spirito; se fosse vissuto ai giorni nostri, avrebbe scritto una sua Fenomenologia della crisi. E sarebbe stato, nonostante i suoi limiti e la sua propensione agli errori, sicuramente più bravo degli attuali politicanti, più o meno pietosamente moralisti e più o meno sfacciatamente amorali.

Non è un caso che cito Hegel, il cui pensiero sfociò infine nel suo “Stato etico e assoluto”, che doveva essere considerato l’unica fonte vera di moralità. Così facendo, finì con il distruggere dalla mente degli uomini le fondamenta del pensiero socratico, che voleva come unico depositario della legge morale la coscienza dell’uomo. L’hegelismo divenne una stampella di un’altra religione fideistica e gli uomini furono disabituati lentamente al personale senso di responsabilità, che persero definitivamente proprio nel momento in cui, riconquistata la libertà e la democrazia, dovevano scegliere i governanti. Non poteva che derivarne quel che è sotto i nostri occhi: un diffuso vuoto morale. Di esso non si sarebbe stanchi, per altro, se il suo costo non fosse ormai insostenibile. Ecco allora i giustizialisti e i comici pronti a denunziare il fenomeno, ma privi di un’analisi razionale del problema e di intelligenti proposte di soluzioni. Si limitano a parlare di diminuzioni dei propri stipendi, dei costi della politica e altre simili amenità, ma dimenticano di curare le cause.

E la responsabilità delle cause è diffusa oltre quella della famigerata casta, perché è di tutti indistintamente i cittadini, che per decenni si sono turati il naso, hanno chiuso gli occhi e hanno scelto (finché la legge elettorale glielo ha consentito) i loro rappresentanti con criteri immorali, irrazionali e strumentali al loro egoismo.

Adesso questi cittadini cominciano a rendersi conto che siamo ormai sull’orlo dell’abisso, ma anziché fare l’autocritica, sono sazi di scegliere un capro espiatorio, che si faccia carico del loro peccato e accetti rimproveri, improperi e derisioni al posto loro. Così, però, non si colpisce il male alla radice, ma si somministra un inutile placebo alla società moribonda.

La società italiana e quella più antica della Sicilia sapranno trovare in loro stesse la forza morale, civile e politica per salvarsi? Sapranno salvare persino questa civiltà, lunga 25 secoli, o vorranno un ritorno alla barbarie? Accetteranno ancora stregoni in piazza e in televisione, che li imboniscono e li imbrogliano?

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