Discorso del sindaco per il 30° anniversario del Teatro S.Cicero

Buona sera,
desidero porgere un caloroso saluto alla Signora Angela Maria Cicero, ai figli Valeria e Maurizio, al Maestro Roberto Pagano, uno dei massimi esperti di musica classica e direttore dell’Orchestra Sinfonica Siciliana all’epoca del suo massimo fulgore, a tutti quelli che hanno conosciuto il maestro Salvatore Cicero e a coloro che sono qui presenti.
La sera del 25 novembre 1982, il Consiglio Comunale di Cefalù, presieduto dal Sindaco Antonio Vazzana, Consacrava con atto ufficiale, l’intitolazione del Teatro Comunale al Maestro Salvatore Cicero, il quale era venuto a mancare il 3 agosto di quello stesso anno.
Forse mai, come in quell’occasione, l’intera città si trovò d’accordo con una decisione assunta dal suo civico consesso.
Deliberazione che fu il suggello finale, e formale, della volontà dell’intera città, la quale si era unanimemente espressa in tal senso, attraverso una sottoscrizione popolare che ottenne il consenso di tutte le categorie sociali cittadine.
Questo fatto testimonia quello che è uno dei lasciti più preziosi che ci ha trasmesso il maestro: riuscire ad unire una città, che spesso appare litigiosa, e che, invece, proprio nei momenti di amarezza e difficoltà, riesce a stringersi attorno a valori comuni.
Ciò rappresenta un concetto estremamente attuale, in un periodo di grave difficoltà come quello che stiamo vivendo. Il riconoscimento che la città volle tributare, trent’anni orsono, non fu soltanto nei confronti di un uomo ma anche di ciò che egli, con la sua vita, con la sua opera, con la sua arte, seppe testimoniare.
L’idea di legare il nome del maestro a questo luogo sembrò, quindi, la scelta più naturale. Questo teatro, infatti,  non rappresenta soltanto uno spazio fisico ma è anche uno dei cosiddetti “luoghi dell’anima”, e quest’anima è proprio quella della nostra città.
Un luogo che, come oggi, evidenzia i fasti della storia di Cefalù, della sua passata opulenza,  delle nobili famiglie e delle intelligenze che hanno contribuito alla sua crescita culturale: Il Barone Enrico Piraino di Mandralisca, il Barone Carlo Ortolani di Bordonaro, l’Avvocato Vincenzo Cirincione, l’ingegnere Emanuele Làbiso, il Pittore Rosario Spagnolo. Un teatro che, ai tempi in cui ne fu decisa l’intitolazione, recava i segni delle passate glorie ma portava le cicatrici lasciategli dall’usura del tempo e dall’incuria degli uomini.
Una metafora assai efficace di ciò che Cefalù era stata e di quello che doveva tornare ad essere, anche grazie agli esempi di personaggi come il maestro.
D’altronde, Salvatore Cicero aveva già individuato questo luogo come sede naturale delle attività culturali cittadine e, per prime, quelle legate ad una autentica riscoperta della musica classica da parte delle giovani generazioni.
Di quella cultura musicale che, nell’idea del maestro, doveva penetrare nei giovani attraverso la scuola. Nella visione del nostro grande concittadino la musica non era solo un fine, attraverso il quale dilettare lo spirito, ma doveva divenire, soprattutto, un mezzo dall’indiscutibile valore pedagogico.
Nella sua idea, fra queste mura non dovevano echeggiare soltanto note suonate da grandi interpreti, come questa sera, ma anche note (magari più imperfette ma non meno importanti) eseguite dai giovani e dai ragazzi.
Ecco un’altra importante lezione lasciataci da Salvatore Cicero.
Se questo luogo, ritornato all’antico splendore, ma non ancora pienamente fruibile (e il mio impegno da Amministratore va, proprio, nel superare, quanto prima gli ostacoli che ancora impediscono di riappropriarci pienamente di questo gioiello)  è simbolo di ciò che la nostra città può tornare ad essere; di quella lucentezza, oggi offuscata, che la nostra città può e deve riacquistare; esso è altrettanto metafora di ciò che le giovani generazioni devono rappresentare per la crescita umana di Cefalù.
Due anni fa il Consiglio Comunale, del quale io facevo parte come Consigliere, ha approvato un importante Regolamento Comunale che prevede la nascita della Fondazione “Teatro Salvatore Cicero” di Cefalù.
In quel documento, tra l’altro, si legge che: “  Scopi della Fondazione saranno: programmare, gestire e promuovere eventi ed iniziative musicali (con particolare riferimento alla musica classica), di danza e di prosa, oltre ad attività collaterali atte a favorire la crescita culturale della collettività rispetto alle suddette discipline artistiche senza preclusione di generi.
Ulteriore scopo sarà quello di organizzare specifiche iniziative, direttamente o in collaborazione con altri soggetti pubblici e privati e con le scuole, rivolte alla formazione e qualificazione professionale di quadri artistici e tecnici per le attività di propria competenza e alla promozione e sviluppo dei valori artistici nelle giovani generazioni”.

Vi posso assicurare che il nostro impegno sarà tramutare questi principi in fatti concreti.
Il nome Di Salvatore Cicero dovrà, presto, essere legato non soltanto a un luogo fisico ma anche ad una realtà che dovrà occuparsi dello sviluppo culturale della città, in tutte le sue forme espressive, coinvolgendo anche le associazioni locali e i giovani.
Soltanto allora potrà dirsi compiuta l’opera del Maestro Cicero.
Questo lo dobbiamo alla nostra Cefalù, a noi stessi, alla memoria di un grande uomo.
Desidero tratteggiare, brevemente, il ritratto dell’artista e, soprattutto, dell’uomo, attraverso la testimonianza del Maestro Lidio Fiorulli, che fu uno dei “giovani cameristi siciliani”, raccolta in un libro, a cura di Girolamo Garofalo, edito nel 2006:
“ Salvatore Cicero fu un uomo di grande generosità. Come insegnante non ci lasciava mai, neppure durante le vacanze natalizie né durante il periodo estivo. Ricordo che mi fece più d’una lezione a casa sua anche mentre aveva la febbre alta. I valori in cui soprattutto credeva erano l’arte, il dovere, l’onestà, la dedizione e la serietà nel lavoro. E poi il disinteresse nei confronti del denaro. In tutta la lunga vicenda dei Cameristi, quasi mai pretese un compenso economico, né per sé, né per noi”.
Un tempo la musica scritta dai compositori era destinata ad essere tramandata, mentre la memoria degli interpreti di quelle note era destinata a morire con loro, in virtù dell’antico proverbio: “le cose scritte restano e continuano a vivere, le parole e i suoni volano e sono destinati a morire”.
Oggi per fortuna non è più così: se l’opera del maestro è ancora viva (attraverso le registrazioni) i valori, gli ideali, il messaggio che egli ci ha testimoniato con la sua vita, la sua arte, la sua carriera, continuerà a vivere e sarà reso evidente attraverso ciò che riusciremo a realizzare in questo teatro e con l’attività della fondazione che di lui porterà il nome.
Questo è l’impegno che, come Primo cittadino, mi sento di assumere; questo è il risultato al quale dobbiamo lavorare tutti insieme.

Il sindaco
Rosario Lapunzina

La foto è presa dal sito sarolapunzina.it

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