Il voto è un diritto e un dovere: ma di chi?

Ultime ore prima che milioni di italiani tornino al voto, pronti ad eleggere finalmente i propri rappresentati nelle massime istituzioni. Da poco conclusa la campagna elettorale, mai come questa volta incentrata sul confronto tra questo e quel candidato, questa e quella fazione, più che sui reali temi che dovrebbero spingere i cittadini a recarsi alle urne. Una campagna elettorale per alcuni versi sottotono, che sembra non essere mai partita. Accesissima invece dall’altro lato, culminata anche in veri e propri scontri di piazza.

Il voto è un diritto e un dovere civico: lo dice l’articolo 48 della Costituzione e gli spot pro voto che da mesi ormai rimbalzano su tutte le reti televisive. Un diritto, ma per chi? Per il cittadino, che può tornare a esprimere la propria preferenza, se di tale si tratta, dopo anni di governi non eletti? Oppure dei candidati, ad avere un posto in Parlamento, che raramente è davvero meritato, e a conquistare (finalmente, o per l’ennesima volta) la poltrona? O dei partiti, nati come bucaneve a primavera poco prima della competizione elettorale, senza sedi, senza iscritti ne segretari, senza militanza, pronti ed aperti ai prossimi rimborsi elettorali?

O è piuttosto un dovere, quello di scegliere, spesso malvolentieri, tra numerosi candidati, da nessuno dei quali ci potremmo sentire degnamente rappresentati? Spesso un votare “turandosi il naso”, per sposare il termine coniato da Montanelli, esprimere la propria preferenza per qualcuno a cui mai avremmo dato il nostro appoggio per evitare un male più grande.

Gli italiani si accingono ad andare alle urne, mai come questa volta con lo spettro dell’astensionismo. Poco importa che si dia il proprio voto a questo o a quel candidato, a questa o a quella fazione. Dovrebbe restare, sempre, almeno l’illusione di poter fare qualcosa, anche questa volta.

 

Paruscio Arianna

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