La Risposta di Home restaurant Hotel alle pesanti diffamazioni di Confcommercio Sicilia

In merito al comunicato emanato questa mattina agli organi di stampa da Confcommercio, riceviamo e pubblichiamo la replica da parte di Home restaurant hotel.

“Premettendo che l’annosa questione sulla legittimità della figura dell’Home Restaurant è, ormai in Italia, motivo di discussione politico, oltre che economico, la circostanza che la figura stessa non sia disciplinata non la rende assolutamente illegale.
L’articolo da Voi pubblicato spazia su numerose questioni, in particolar modo sulla concorrenza sleale, l’evasione fiscale e il rispetto delle norme igienico sanitarie.

Con riferimento al concetto di ammissibilità nel nostro ordinamento dei c.d. “ristoranti in casa”, è giusto portare all’attenzione della Vs. spett.ma testata online come, in data 30 marzo 2017, sulla questione si sia espresso il Professor Giovanni Pitruzzella, Presidente dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, il quale ha così statuito: “La Commissione Europea ha invitato gli Stati membri a favorire lo sviluppo della c.d. sharing economy, capace di creare nuove opportunità sia per i consumatori, che possono beneficiare di un ampliamento dell’offerta di servizi e di prezzi inferiori, sia per i nuovi operatori agevolati da forme di lavoro flessibile e da nuove fonti di reddito. In questo quadro, l’Autorità ritiene che il DDL A.S. n. 2647 introduce limitazioni all’esercizio dell’attività di Home Restaurant che non appaiono giustificate.

In secondo luogo, con riferimento, al concetto di concorrenza sleale, sempre nel medesimo bollettino del 30 marzo 2017, il Presidente Pitruzzella si è espresso in tali termini: “Del tutto ingiustificata appare la conseguente quantificazione normativa del numero massimo di coperti (500 l’anno) che possono essere allestiti e del reddito annuo (5.000 € annui) che l’attività in esame può generare. Tali previsioni si pongono, piuttosto, in palese contrasto, oltre che con i principi di liberalizzazione previsti dal d.lgs. n. 59/2010, che recepisce la direttiva servizi, e dai successivi decreti di liberalizzazione, anche con il dettato costituzionale di libera iniziativa economica e di tutela della concorrenza. L’insieme dei vincoli e delle limitazioni all’attività di home restaurant si pone fuori dal quadro tracciato dai principi europei della concorrenza.”
Sostanzialmente, attraverso questo passaggio, l’AGCM ha esposto chiaramente come non sia la figura dell’Home Restaurant Hotel a essere una manifestazione di concorrenza sleale, ma, a contrario, siano le limitazioni a essa normativamente imposte a essere manifestazioni di concorrenza sleale.

In terzo luogo, l’AGCM, con riferimento al rispetto della normativa igienico sanitaria, ha affrontato il problema, così statuendo: “Eventuali obiettivi di tutela della salute dei fruitori sono comunque sufficientemente garantiti dall’obbligo di rispettare le norme sull’igiene degli alimenti e dagli obblighi di copertura assicurativa.”
In quarto luogo, con riferimento all’evasione fiscale. A oggi non esiste alcuna norma di riferimento per gli Home Restaurant e i cuochi a domicilio. Risulta difficile inquadrare la questione dal punto di vista fiscale. Proprio in ragione di questo presupposto, il nostro intento è quello di raggiungere un accordo con lo Stato-apparato al fine della regolamentazione della materia in questione. Appare evidente, come l’obiettivo di un professionista che opera in tale settore non sia quello di eludere lo Stato, ma quello di ottenere un riconoscimento attraverso una regolamentazione normativa della fattispecie, al fine di poter ottenere una tutela e una posizione giuridica riconosciuta.

In realtà, le dichiarazioni del dott. Francesco Picarella n.q. di Confcommercio, riportate nell’articolo pubblicato in data 31 luglio dal Vs spett.le quotidiano online, sono palesemente di parte.
Appare ovvio, che ciascuno persegua gli interessi della propria categoria professionale, pur tuttavia, nel caso di specie, il dott.Francesco Picarella  non soltanto dimostra di non conoscere la differenza tra un modello economico liberista e un modello economico statalista, ma, soprattutto, dimostra di non conoscere neanche i principi economici sui quali si basa l’iniziativa imprenditoriale italiana.”

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