Le Ali alla Sicilia: abbiamo fallito


“Abbiamo fallito ed è colpa nostra. Abbiamo creduto che la voglia di battersi e l’entusiasmo di pochi militanti potessero reggere il peso di una campagna tutta fondata sui contenuti e condotta in un clima di rassegnazione e disperazione. Ma abbiamo fallito. Alla prova della presentazione delle liste l’assenza di struttura organizzativa e di mezzi ha giocato un ruolo decisivo. Affondandoci”, lo riconosce apertamente Davide Giacalone, di LeAli alla Sicilia.
“Abbiamo la colpa di avere voluto rispettare le regole, attenendoci alla lettera della legge, senza fare come altri, senza raccogliere le firme su fogli ancora da compilare, in questo modo disponendo di più tempo. Eppure ci siamo riusciti, ma non a comporre l’intera documentazione richiesta, sulla base di una procedura fatta apposta per tagliare fuori chi non spende e chi non ha organizzazione precedente. Abbiamo la colpa di non avere accettato aiuti che ci avrebbero snaturato, o di avere pagato per avere consensi. Ed è colpa che portiamo con orgoglio. Abbiamo la colpa di avere creduto che l’esigenza del cambiamento fosse largamente sentita, con la colpa aggiuntiva di avere sfidato quanti usano i denari della politica per pagare la permanenza in politica. Non abbiamo la colpa di avere candidato un condannato (oltre tutto dirigente di Italia Confederata), perché di tutti avevamo il certificato di godimenti dei diritti politici”.
“I molti che c’incoraggiavano riservatamente hanno taciuto pubblicamente. Abbiamo avuto la colpa, quindi, di credere che avremmo potuto farcela. Nessun complotto, nessun colpo di mano. Non è nel nostro stile evocarli a sproposito. C’erano irregolarità pesanti in altre liste, ma inquadrate nella regolarità del falso. Abbiamo peccato di dilettantismo. Al tempo stesso, però, la battaglia che avevamo impostato era e resta giusta. Il lavoro che abbiamo svolto sui temi specifici, elaborando proposte concrete, resta l’incarnazione delle nostre convinzioni e un dovere nei confronti della Sicilia e dei siciliani. Per questa ragione la nostra corsa continua. Non più sulla scheda elettorale, assenti dalle urne perché incapaci di starci, ma nella esposizione di come il futuro potrebbe essere diverso, se solo una migliore classe dirigente fosse retta da maggiore consapevolezza collettiva”.
“Sapevamo bene di non essere candidati alla vittoria, naturalmente. Ci eravamo esposti per senso del dovere. Lo stesso che ci porta a continuare”.

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