Cefalù al centro di un’inchiesta che coinvolge le spiagge della provincia

Una recente inchiesta svela lo stato in cui versa il litorale che si estende per la provincia di Palermo. Su circa 185 chilometri di costa, solo 98 risultano “balneabili”, in quanto il resto risulterebbe inquinato da scarichi fognari. E’ ad esempio il caso del mare antistante l’area industriale di Termini Imerese, ma non solo.

Spiaggia di Campofelice
Spiaggia di Campofelice

Lo studio prende quindi in considerazione anche quanti di questi chilometri “puliti” risultano aperti al pubblico e quanti invece siano in mano a lidi o privati. In particolare sembra che, negli anni 70”, la speculazione edilizia sulla costa, abbia portato a diverse centinaia di ville che di fatto rendono inaccessibili diverse zone costiere. Esse hanno sbarrato la costa. Nei tratti di litorale pubblico, la situazione non è di certo rosea, in quanto spadroneggia la sporcizia insieme ai divieti di balneazione.

L’analisi prende poi in considerazione la zona che si estenda da Campofelice di Roccella sino alla nostra Cefalù. Gli autori sostengono che, per trovare un tratto di costa libero, venendo da Palermo, è necessario arrivare sino alla località di Campofelice ove si trova la stupenda spiaggia lunga circa cinque chilometri e che si estende sino a Lascari. Si tratta – a detta degli autori – di una fra i più bei scorci paesaggistici del litorale palermitano.
A Cefalù la situazione è diversa: da diversi anni infatti parte della spiaggia è stata data in gestione ai lidi, numerosi in una porzione ristretta di costa. I tratti di spiaggia libera fra uno stabilimento balneare ed un altro, non sarebbero che piccole strisce di sabbia di non oltre 60 metri di lunghezza.
“Ogni Comune bagnato dal mare  –  sostengono dall’assessorato regionale all’Ambienteè obbligato alla redazione del Piano di utilizzo del demanio marittimo, una sorta di piano regolatore della costa dove vengono stabilite le aree da dare in concessione ai lidi e quelle libere”.

Ciò che da più parti è contestato, più che la “privatizzazione” delle spiagge, sono i canoni delle concessioni demaniali marittime, ritenuti irrisori, e la durata delle stesse concessioni, considerata esageratamente lunga. Sulla prima criticità la regione ha risposto con un decreto lo scorso maggio, provvedendo ad aumentare del 600% le concessioni per gli stabilimenti balneari. Infatti, complessivamente, nel 2011, la Regione incassava 11 milioni per 922 chilometri lineari di costa, con una media di 5.300 euro per gestore, meno di un terzo rispetto ai 18.585 del Veneto. Spesso poi molte delle strutture ricorrono al c.d. “canone ricognitorio” – riservato a istituti culturali, enti pubblici, ordini religiosi e associazioni sportive dilettantistiche – con ulteriori “sconti” dal 50 al 90% rispetto alle tariffe base.

Sulla seconda criticità – la durata delle concessione -,  il governo nazionale è finora andato avanti con proroghe e rinvii, mentre dall’Europa, malgrado si prosegua con i piedi di piombo ( direttiva Bolkestein) si punta ad un drastico abbassamento della durata delle concessioni per gli stabilimenti balneari, al fine di liberalizzare un settore altrimenti controllato da pochi fortunati.

POTREBBE INTERESSARTI

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *