Cosa c’è da sapere sull’Ebola

ebolaL’Ebola è un virus che causa una forte febbre emorragica,il cui periodo di incubazione può variare dai 2 ai 21 giorni, ma generalmente è di 5–10 giorni. La febbre emorragica dell’ebola è potenzialmente mortale e comprende una gamma di sintomi iniziali che compaiono improvvisamente, quali febbre alta (almeno 38,8 °C), cefalea, mialgia, dolori addominali, nausea e vertigini. Il virus progressivamente causa sintomi di più grave entità, come diarrea, feci scure o sanguinolente, vomito, occhi rossi dilatati con presenza di aree emorragiche, emorragia interna e esterna.
L’emorragia interna è causata da una reazione tra il virus e le piastrine che dà luogo a varie rotture nelle pareti dei vasi capillari. A partire dalla seconda settimana di infezione si assiste all’innescarsi di una sindrome da disfunzione multiorgano (soprattutto reni, milza e fegato), che porta facilmente al decesso.

Il tasso di mortalità è alto e varia dal 50% all’89% secondo il ceppo virale. Il virus si trasmette però solamente attraverso il contatto diretto con i fluidi corporei di una persona malata, oppure, in minor proporzione, per via epidermica o per contatto con le membrane mucose. Il virus non si espande o si trasmette per via aerea. Anche per chi abita o ha viaggiato nelle zone colpite il rischio di infezione da virus Ebola è estremamente basso a meno che vi sia stata esposizione diretta ai liquidi corporei di una persona o di un animale contagiato, vivo o morto. Un contatto casuale in luoghi pubblici con persone che non mostrano segni di malattia non trasmette Ebola.

La febbre emorragica da Ebola viene generalmente diagnosticata tramite test ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay), che tuttavia fornisce risultati ambigui durante le fasi non epidemiche. Sono stati isolati finora cinque ceppi diversi del virus, di cui quattro sono letali per l’uomo. Nei villaggi o nelle zone più remote i contatti frequenti tra gli ammalati e i parenti aiuta la rapida propagazione del virus.

Il rischio che la malattia arrivi in Italia rimane basso, attorno al 5/10%, e ancora più basso è il rischio che una volta giunta in Europa la malattia si possa propagare in modo esponenziale così com’è avvenuto nel continente africano. Pur in presenza di un rischio remoto di importazione dell’infezione, va in proposito ricordato che l’Italia, a differenza di altri Paesi Europei, non ha collegamenti aerei diretti con i Paesi maggiormente colpiti dall’epidemia e che altri paesi europei stanno implementando misure di sorveglianza negli aeroporti. Riguardo le condizioni degli immigrati irregolari provenienti dalle coste africane via mare, la durata di questi viaggi fa sì che persone che si fossero eventualmente imbarcate mentre la malattia era in incubazione manifesterebbero i sintomi durante la navigazione e sarebbero, a prescindere dalla provenienza, valutati per lo stato sanitario prima dello sbarco.

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