L’intero mandamento mafioso di Brancaccio arrestato con l’operazione “Zefiro”

arresti brancaccioMaxi operazione antimafia ad opera della polizia ha messo in atto questa mattina l’arresto di 18 persone colluse con la mafia, tutti esponenti del mandamento di Brancaccio. Si trovano ora in custodia cautelare in carcere per reati di associazione a delinquere di tipo mafioso, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti, possesso ed uso illegale di armi da fuoco ed altro. L’ operazione battezzata “Zefiro” è stata condotta dalla Squadra mobile di Palermo e ha visto la collaborazione con la polizia di Milano, Napoli e Trapani.

Gli investigatori sono riusciti a ricostruire la vita criminale degli ultimi anni di uno dei più potenti mandamenti mafiosi della città, individuando in Natale Bruno il nuovo capo, anche lui in arresto insieme agli altri 17 boss e gregari, che si vantava di essere stato “allevato alla scuola di Michele Graviano”. Oltre alle tradizionali attività di lucro di Cosa nostra, le indagini hanno individuato contatti con alcune cellule criminali provenienti da altre organizzazioni. Il lavoro approfondito e peculiare della polizia ha fatto sì che venissero fuori anche nomi inizialmente considerati insospettabili.

L’operazione “Zefiro” è la naturale prosecuzione della memorabile “Araba Fenice”, risalente solo a 3 anni fa, a testimonianza di un lavoro di continuità e perseveranza che ha portato oggi a nuovi successi nella lotta contro la mafia. La famiglia di Brancaccio ha sempre avuto una certa importanza soprattutto nella gestione dei contatti con le altre famiglie, come quella della vicina Bagheria. A buon ragione pertanto Bruno Natale può essere considerato l’erede naturale di Lupo Cesare, arrestato nel 2011.

Il capo clan avrebbe, nel giugno 2012, coperto abilmente tramite un uomo fidato alcune attività estorsive messe in atto da 4 malviventi provenienti dalla Campania. Si è trattato di furti presso alcuni istituti di credito finiti però con l’arresto da parte della Polizia. Ciò che allora colpì nelle indagini fu l’utilizzo da parte dei colpevoli di dispositivi e congegni meccanici che, applicati agli sportelli di cassa continua, gli permisero di impossessarsi della cassetta impiegata dai correntisti per conferire i valori presso lo sportello bancario.

Accanto a questi reati più “moderni”, le microspie della Mobile palermitana hanno rintracciato profili riconducibili al più tradizionale modus operandi della cosca mafiosa, come il traffico di stupefacenti e la raccolta di fondi per il sostentamento delle famiglie dei carcerati, fondi che Bruno stesso si vantava di non aver mai eroso per interessi “privati”. Anche nel campo delle estorsioni, Bruno è stato protagonista, in prima persona, di episodi criminali che lo hanno portato materialmente ad esigere oboli e cifre significative ad esercenti della zona; indagando su di lui, la Polizia di Stato è riuscita ad individuare una serie di esercenti taglieggiati.

Il quadro tratteggiato dalle indagini dei poliziotti è quello in cui, non soltanto i soggetti organici dell’organizzazione mafiosa remano dalla parte di “Cosa nostra”, ma anche individui non formalmente iscritti nel registro degli “uomini d’onore” e comunque asserviti agli interessi della consorteria criminale.

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