Le offese sui gruppi WhatsApp sono reato

Una sentenza della Corte di cassazione cambia definitivamente le regole: l’offesa sui gruppi WhatsApp, letta oltre che dall’autore e dalla persona offesa anche da altri, è un reato di diffamazione.

“Sebbene il mezzo di trasmissione/comunicazione adoperato consenta, in astratto, anche al soggetto vilipeso di percepire direttamente l’offesa”, dice la sentenza alla quinta penale, “il fatto che il messaggio sia diretto a una cerchia di fruitori” fa sì che la lesione della reputazione “si collochi in una dimensione ben più ampia di quella tra offensore e offeso”.

La Corte era intervenuta da principio dopo il ricorso effettuato da una coppia di genitori di un tredicenne (prosciolto dal gup di Bari perché non aveva ancora 14 anni al momento del fatto), che si era reso autore di una offesa in una chat di classe. Intervenuto in difesa di una compagna, aveva scritto un messaggio carico di epiteti volgari, in cui accusava la persona offesa, una coetanea, di essere la responsabile dell’allontanamento dell’amica dalla scuola.

I genitori hanno chiesto ragione nel merito: secondo la difesa il fatto non aveva rilievo penale, sostenendo che si trattasse piuttosto di ingiuria – reato oggi depenalizzato e trasformato in illecito civile – visto che la destinataria dei messaggi offensivi partecipava alla stessa chat. La Cassazione si è quindi espressa richiamando anche precedenti pronunce su posta elettronica e mailing list: “L’eventualità che tra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona nei cui confronti vengono formulate le espressioni offensive”, spiegano i giudici, “non può indurre a ritenere che, in realtà venga, in tale maniera, integrato l’illecito di ingiuria, piuttosto che il delitto di diffamazione”, evidenzia la Corte. Da qui la decisione di confermare la sentenza del gup.

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