Max Gazzè, l’umidità d’estate e quel teatro di Finale

I teatri colmi Max Gazzè li vede ad ogni suo concerto, così è risuonato per lo più in noi spettatori l’ennesimo applauso strappato da un artista che insolitamente ha calcato proprio il palco di casa nostra, quello di un secondario teatro di provincia.

“C’è giusto un po’ di umidità stasera…” – ha commentato al suo ingresso Max, dopo i primi pezzi d’apertura – il pubblico accondiscende e un risolino collettivo spezza l’attesa della successiva canzone. Annina. Gli smartphone sono alti sopra le teste mentre una solo apparentemente dolce melodia distrae da parole dense, densissime di retorica. Max, il paroliere. Il solo capace di scegliere fra tutti “ardimentosa” come aggettivo da rispolverare nei vocabolari della mente e far incidere il suo significato poeticamente perfetto, pronto a sedimentarsi lì ed essere utilizzato, cari uomini, per lusingare le donne.

Certo, solo se si sarà superato il solito ancestrale timore che hanno tutti di lasciarsi un po’ andare, che le storie narrate da Max, l’affabile, ci hanno ricordato eccome le nostre avventure e passioni. Si diverte Gazzè con la sua musica. E si vede, e no…non per i tromboni e gli scambi fra basso e chitarra, ma per la giusta musica sul giusto pezzo, nel giusto momento della serata. Poco importa se La favola di Adamo ed Eva tiene banco per oltre 10 minuti solo nella sua fase strumentale. Un teatro può diventare un piccolo spazio domestico quando tutti cantano lievemente le vicissitudini del timido ubriaco col solo ausilio della chitarra e con le voci di tutti; come può trasformarsi nella curva di uno stadio, quando La vita com’è che hai sempre sentito in cuffia, adesso, fa ballare anche la vicina di seggio che aveva portato cuscino e plaid per la serata.

Il pubblico mette da parte la compostezza, le ultime file, lì in alto, cedono al ritmo incalzante di Sotto casa alzandosi in piedi, altri riempiono i corridoi della platea e si trascinano fin sotto gli occhi di Max, il romanaccio e parte la festa: le braccia oscillano, le mani battono, le anche ondeggiano, le spalle sudano (ammazza!). Le voci si disperdono nel disperato tentativo di raggiungere l’imponente sound, per ritrovarsi solo dopo, a fine serata, per commentare divertite quelle ore di musica e parole, per commentare Max, l’artista, una sera umida di fine estate, in un secondario teatro di provincia, che una volta, questa volta ha regalato una rosa alla sua sposa, le sue parole alla sua musica, a Finale.

Sofia D’Arrigo

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