Cefalù, quando a “farti fuori” è la politica

E’ giunta alla nostra redazione una lettera firmata di cui non potevamo non condividere il contenuto coi lettori. Ognuno sarà libero di farsi le proprie opinioni ma leggendo tutto quello che andremo a raccontarvi – come minuziosamente descritto dall’autore della missiva – c’è da restare senza parole.
E’ la storia di uno dei tanti lavoratori perbene che abitano e vivono la nostra comunità. La storia di chi, come tanti altri, parrebbe avere pagato un prezzo altissimo per la sua “dissidenza”.
“Oggi finalmente voglio raccontarvi una storia – comincia così la missiva. Una storia vera. Una storia che se non fosse successa a me personalmente stenterei a credere che sia realmente accaduta”.
L’autore, evidentemente ancora scosso per l’accaduto, preferisce non fare nomi, temendo “ritorsioni a livello personale dirette ed indirette” oltre alle querele che avrebbe già ricevuto.
“Tutti quelli che mi conoscono – continua la lettera – sanno quanto mi sia battuto per riportare a Cefalù una struttura per la quale ho lavorato per tantissimi anni”.
La lettera, a questo punto, assume toni più cupi, si comincia a parlare di gravi ingerenze di rappresentati politici  al management di questa azienda di respiro internazionale.
Si parla di ditte e persone “fatte allontanare” dall’azienda – dopo aver seriamente prestato il proprio servizio per anni – per questioni “politiche”.
Padri e madri di famiglia, avrebbero perso il loro posto di lavoro – stando a quanto riportato dall’autore – perché si sarebbero schierati dalla parte sbagliata. Oppure – sempre secondo il lavoratore – per dei commenti “non allineati” apparsi sui social.
Si parla infine di un atto che, se confermato, si inquadrerebbe a pieno titolo nel killeraggio reputazionale.
Parrebbe che, la cabina di regia che spingeva per un netto turn -over all’interno della struttura abbia artatamente creato e recapitato al management, lettere e “esposti” firmati da pregiudicati. Tutto questo – a detta dello scrivente – per distruggere definitivamente la sua credibilità all’interno dell’azienda.
Se tutto questo fosse vero, e purtroppo i motivi per dubitarne si fanno sempre più labili, poiché a dare supporto a questo ‘j’accuse’ ci sarebbero tanti altri lavoratori estromessi per le medesime ragioni, non ci sarebbero parole per descrivere quanto accaduto.
Se è vero, è inaccettabile che delle persone debbano perdere il loro posto di lavoro (garantito costituzionalmente) per “questioni personali”, per “antipatie”, o semplicemente perché non andavano a genio a chi aveva le redini della cosa pubblica.  Questa può essere una spiegazione – ed è quella che prova a darsi il mittente di questa lettera/denuncia – eppure non è detto che sia l’unica.
Probabilmente queste persone, potevano risultare scomode a qualcuno perché “libere”, perché non rispondevano a “chi di dovere” e, dunque, si sarebbe preferito un cambio di regime.
Per dirla con Andreotti: “A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca”. In questo caso speriamo di esserci sbagliati. Tutti. E che questa brutta pagina di storia locale non venga mai scritta.

Davide Bellavia

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