Ficarra e Picone alzano la polvere dalle teste

<<Pure io volevo vedere Picarra e Ficone>>, si intrometteva con questa simbolica dislessia mia mia madre nella discussione a tavola, in quei giorni compresi fra Natale e Capodanno che sanno di niente.

Avevo detto che sarei andata al cinema, più per la volontà di unirmi a una serata fra amici, che per il film in sé. Non attendevo certo la pellicola del duo siciliano, molto poco incisivi evidentemente nella memoria collettiva del pubblico generico a cui possiamo appartenere sia io sia mia madre. Conosciamo da anni la caricatura dell’ ironia dei due comici, intrisa di luoghi comuni siculi e forzatamente bislacchi.

Come Il Primo Natale si può sintetizzare del resto: al netto di una storia quasi assente, si salva in angolo mettendo al centro un soggetto simbolico ma non ancora saturo come il presepe. Se ci guardiamo intorno in questi giorni non c’è paesino che non metta in scena il proprio; la storia della natività di Gesù è destinata a non perire mai, supera la dimensione temporale e valica senza paura il nuovo decennio. Neppure la secolarizzazione mette in crisi la straordinaria avventura di un neonato adagiato sulla paglia, scaldato dal fiato di un bue e di un asinello. Forse perché di quella storia ci siamo persi sempre almeno un dettaglio, e ogni anno l’occasione si fa buona per scoprirne uno nuovo. A Salvo e Valentino va riconosciuto questo merito: tra le dune del deserto della Giudea dell’anno zero ecco un rocambolesco scambio di ruoli, degno di una carnevalata d’artista. Il primo, ladro da quattro soldi e miscredente, di fronte all’evidenza di un fascio di luce rinsavisce come Saulo sulla via di Damasco e comincia a dare valore ai sentimenti, sfociando in un lieto fine che prevede un allegro quadretto familiare, una volta abbandonati egoismi e inganni al prossimo. L’altro, prete di provincia arroccata e consunta, mitico accentratore e pastore tra pizzi e merletti, è cerimonioso e formale, attento a ciò che si dice e mai a ciò che si è.

L’ambientazione, favolistica nei colori e nell’elemento magico con cui solo era possibile rendere un raffazzonato salto temporale, riesce comunque a restituire una storicità bastevole a rispolverare le catechistiche vicende della Giudea al tempo della venuta di Gesù. A sbrogliare la ‘matassa’ degli eventi narrati nei Vangeli, con utile e retorica distorsione, ci penseranno i due stranieri venuti da molto molto lontano, solo dopo essere diventati parte di una comunità che nei valori della condivisione e dell’accoglienza si riconosce, valicando ogni diversità.

Se non bastasse a rendere chiara l’idea che Gesù viene e viene per tutti, al freddo al gelo, che nasce ebreo e muore battezzato, che è figlio di stenti e raffiche di no, che gode della virtù dello Spirito Santo e che fa miracoli da uomo perché Uomo e non perché Dio, ecco spuntare un mare in tempesta e un barcone con a bordo profughi scappati dalle persecuzioni del maligno, che cerca salvezza senza pretese e senza colpe, se non quella di sfuggire a morte certa.

Allegre simmetrie, che allegre non sono mai nella realtà.

Ma del resto, nessuno ha pagato sei euro pensando di elevare il proprio status culturale guardando Ficarra e Picone; nessuno ha riso a crepapelle e Natale passerà come passano i re e i governatori; tuttavia, ci sono molti modi di parlare al grande pubblico per sollevare la polvere dalle nostre teste, e Il Primo Natale ha il suo: semplice e a tratti vago, ma funzionale.

Sofia D’Arrigo

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