Mafia: riciclavano denaro in Toscana per conto di cosa nostra, 12 arresti eseguiti dalla Guardia di Finanza

Sequestrate quindici di aziende e bloccati decine di conti correnti. Eseguite dodici ordinanze di custodia per associazione a delinquere e riciclaggio

“Golden Wood” così hanno denominato i militari della Guardia di Finanza l’operazione che ha posto fine all’attività di riciclaggio del denaro di cosa nostra in Toscana.
Applicate dodici ordinanze di misure cautelari emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il tribunale di Firenze e su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo toscano.

L’operazione è scattata alle prime luci dell’alba

Oltre 300 Finanzieri hanno proceduto all’arresto di 12 componenti di un sodalizio
criminale, oltre che al sequestro di 15 aziende, di decine di conti correnti e disponibilità
finanziarie nonché a 120 perquisizioni domiciliari e locali.L
L’operazione è stata eseguita dal gruppo della Guardia di Finanza di Prato con la collaborazione di reparti del Corpo di altre città e coordinata dalla DDA di Firenze.

Indagate oltre sessanta persone che appoggiavano a vario titolo la “famiglia di corso dei Mille” di Palermo

Agli arrestati ed agli ulteriori indagati, in totale 60, è contestata – a vario titolo – l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, nonché i reati di intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti di identità e sostituzione di persona.
L’operazione si connota in termini di assoluta rilevanza anche in ragione della contestazione della specifica aggravante consistente nell’agevolazione dell’attività di un’associazione mafiosa, nel caso di specie la “famiglia mafiosa di Corso dei Mille” di Palermo.

L’attività investigativa delle Fiamme Gialle pratesi andava avanti dal 2015

Il procedimento penale ha tratto origine da pregressi accertamenti svolti dalle Fiamme Gialle pratesi, che avevano consentito di individuare alcuni soggetti dediti – attraverso l’utilizzo di documenti di identità falsi, intestati a persone inesistenti – alla movimentazione di ingenti somme di denaro di dubbia provenienza.
L’attività investigativa, dunque, inizialmente diretta dalla Procura della Repubblica di Prato, è proseguita, dal 2017, con il coordinamento della competente Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, essendo emersi significativi collegamenti con la criminalità mafiosa siciliana.
Le complesse e laboriose indagini  hanno consentito di accertare l’operatività di un’associazione a delinquere, ben organizzata e strutturata, la quale, al fine di immettere nel circuito economico denaro di provenienza illecita, ha creato e gestito – direttamente e tramite una serie di prestanome – una galassia di imprese con sedi in tutto il territorio nazionale ed in particolare in Toscana, Sicilia e Lazio (in totale 33), in parte reali ed effettivamente operanti ed in parte di fatto inesistenti in quanto sprovviste di qualsiasi idonea struttura imprenditoriale; tutte con oggetto sociale il commercio di pallets, ovvero le pedane in legno comunemente utilizzate per il trasporto e la movimentazione di vari tipi di materiale.

A completa disposizione del boss

Lo scopo del sodalizio illecito era quello di riciclare, ostacolando l’identificazione della provenienza delittuosa, i proventi degli affari criminali della “famiglia mafiosa di Corso dei Mille” di Palermo, capeggiata da TAGLIAVIA Pietro, soggetto condannato con sentenza irrevocabile per il reato di associazione mafiosa, figlio di TAGLIAVIA Francesco, già esponente di vertice del mandamento di Brancaccio, condannato anch’egli all’ergastolo sia per la strage di via d’Amelio a Palermo che per quella di via dei Georgofili a Firenze.
Gli indagati si erano messi a completa disposizione del TAGLIAVIA Pietro, nel periodo in cui egli era detenuto presso la casa circondariale di Prato, tanto da reperirgli nel 2017 un’abitazione in Campi Bisenzio (FI) dove aveva poi scontato gli arresti domiciliari e da fornirgli, clandestinamente ed in violazione delle prescrizioni imposte dall’Autorità Giudiziaria, un telefono con il quale mantenere i contatti anche con i propri sodali in Sicilia.
La provenienza dalla Sicilia di parte del denaro riciclato ha trovato conferma anche in molte conversazioni telefoniche intercettate e nei successivi riscontri investigativi.
Nel corso delle indagini sono stati inoltre rilevati movimenti di denaro, evidentemente “ripulito”, a favore del capo-cosca palermitano.

Un imponente giro di denaro per un totale di 150 milioni di euro

L’associazione a delinquere ha operato realizzando un imponente giro di denaro, per un importo totale di oltre 150 milioni di Euro, caratterizzato da continue operazioni di accredito e di addebito di somme anche ingenti, giustificate quali pagamenti di fittizie forniture di merce, tramite documentazioni contabili non di rado artatamente
predisposte a posteriori. Dopo vari passaggi, talora – per confondere ancor di più le acque – intervallati da pagamenti di transazioni commerciali almeno in parte reali, per ultimo le somme erano quasi sempre prelevate in contanti dai conti di ditte inesistenti; a ciò provvedevano, mediante reiterati e frazionati prelevamenti anche nel corso della stessa giornata, emissari dell’organizzazione, ignari della presenza discreta dei Finanzieri che, poco distante, osservavano, annotavano e registravano.
In alcuni casi la provvista creata era impiegata per eseguire ulteriori movimentazioni di denaro a favore di altre imprese del gruppo. Il vorticoso giro di denaro ha trovato peraltro puntuale conferma nello sviluppo di 36 specifiche segnalazioni di operazioni sospette, rigorosamente riscontrate dai Finanzieri del Gruppo di Prato, pervenute – tramite il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria – dagli operatori finanziari a ciò obbligati ai sensi della vigente normativa antiriciclaggio.
Centrale, rispetto alla contestazione del reato di riciclaggio, il ruolo affidato alle numerose ditte inesistenti, appositamente create, da un lato per agevolare l’associazione mafiosa denominata “cosa nostra” attraverso la canalizzazione di un fiume di denaro sui conti correnti opportunamente accesi, gestiti e svuotati, per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di tali somme, dall’altro per consentire – attraverso il giro di fatture false – indebiti vantaggi fiscali e posizioni dominanti sul mercato.

A capo del sistema due gruppi di origine siciliana stanziati in Toscana

Fondamentale il ruolo assunto da uno dei dodici arrestati, un consulente del lavoro già sospeso dal proprio ordine professionale, incaricato della gestione finanziaria di talune
imprese utilizzate dal sodalizio, nonché degli aspetti amministrativi, comprese le formalità inerenti alla costituzione delle ditte inesistenti, cui provvedeva utilizzando anche falsi documenti di identità.
L’associazione a delinquere contava inoltre su una fitta rete di collaboratori, molti dei quali ricoprivano il ruolo di fittizi titolari di ditte inesistenti. Dei dodici arrestati, sei ristretti in carcere, altrettanti ai domiciliari, dieci sono originari di Palermo e provincia, due della Puglia.
Sette sono residenti nel capoluogo siciliano, due a Prato, due a Campi Bisenzio (FI) ed uno a Sesto Fiorentino (FI).

 

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